Parlo dunque scrivo

Riflessioni sulla scrittura a cura di Benedetta Reverberi

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Negli ultimi anni si assiste a una corsa verso una scrittura che amano – i meno addetti ai lavori – definire distopica, forse senza comprenderne il significato più profondo. Autori giovanissimi che senza pubblicazioni VERE alle spalle vogliono rientrare nella letteratura di nicchia, come fosse un vanto, un abito elegante da non dismettere mai, neppure con il caldo, animano conferenze, rifiutano edizioni che non esitano a definire “non all’altezza”. Una scrittura dedicata al “non è mai abbastanza” viene erroneamente definita letteratura e gli editori improvvisati di buon cuore che la pubblicano ne sigillano una effimera qualità. Mai come in questo periodo storico-letterario, così incentrato sull’improvvisazione, sullo stupore a tutti i costi, sul trash dalle tinte fluo, abbiamo bisogno di qualità, una qualità certificata, che transiti da una formazione culturale, lucidata dall’esperienza, senza mai dimenticare che la cultura autentica è quella che sa parlare un linguaggio universale, che arrivi o possa arrivare a tutti. La cultura come strumento e non come traguardo è, e sarà sempre, l’unica arma ammessa per la crescita del Paese; la cultura come linguaggio facilmente decodificabile che unisca e non crei per forza isole di privilegio, in una società, la nostra, che di privilegi e di caste ne ha collezionati troppi. Vanto dell’editore non è pubblicare opere comprese da una piccola percentuale, insignificante, di giovani snob, che schifano tutto quello che definiscono “commerciale” ma vendere libri a chi ancora sa sorprendersi per storie semplici, nelle quali ritrova parte di sé, a chi con un sacrificio anche economico aggiunge un libro a una biblioteca semplice che profuma di crescita. Questo è il mestiere dell’editore etico. Ed è, a piccoli passi, il nostro.